Che bello vedere le sale teatrali piene in questi tempi grami per la scena italiana in cui molti ma non tutti (per fortuna) parlano di profonda crisi irreversibile. Non dimentichiamo infatti che da tempo, troppo, il teatro subisce il fascino e l’eco del cinema che però, è doveroso dirlo, se non avesse dietro tutto il battage pubblicitario di starlette, ereditiere-attrici, pseudo attori vip e mecenati altolocati vivrebbe sicuramente le stesse sorti di un palcoscenico. Una considerazione nata dall’aver visto negli ultimi tempi le sale milanesi (senza fare nomi per non fare elogi o torti a nessuno) piene di giovani, giovanissimi, cultori della materia, insomma un folto pubblico attento e concentrato alla parola, al gesto, alla ricerca, alla drammaturgia, ai giochi di luce e ai cambiamenti improvvisi che avvengono in diretta davanti e dietro le quinte. Un mucchio di spettatori e di gente che ha avuto modo di avvicinarsi alle meraviglie del palcoscenico anche grazie all’ottima idea della Provincia di Milano di istituire la festa del teatro con biglietti a prezzo ridottissimo e visite guidate, laboratori e senminari annessi. Sicuramente gli appassionati di questo mondo hanno apprezzato, potendo finalmente calarsi più da vicino in una realtà che hanno sempre amato, trascinando così molti neofiti dell’ultima ora che si sono avvicinati al magico mondo del teatro per scherzo o per curiosità, ma che per detta di amici teatranti stanno tornando sul luogo del delitto popolando le sale e le gradinate dove si svolgono i vari spettacoli. Che la gente abbia finalmente capito che i Grandi Fratelli, le Isole Famose e i vari programmi da tv del dolore hanno scocciato ed è ora di tornare a sentire la magia del teatro, il fruscio di una quinta, il caldo di un proiettore, in una parola il Fascino con la s maiuscola del testo recitato. Nell’attesa che questa flebile speranza si manifesti e si concretizzi con dati di fatto certi e concreti, è però doveroso sottolineare l’eterna insoddisfazione dei protagonisti primi di questo mondo, attori e registi in primis, che non fanno altro che lamentarsi della mancanza di critica, uscite sui giornali necessarie solamente per manifestare la propria presenza e il proprio bisogno di apparire ed esistere. Dov’è finito il gusto della narrazione, dell’antica oralità di un vecchio aedo che raccontava per il solo gusto di tramandare e far conoscere al mondo, non alla platea da tutto esaurito e botteghini chiusi? Perché quando gli spettacoli sono belli e vale la pena non perderli si palesano tutti all’orizzonte chiedendo omaggi, accrediti, spacciandosi per critici e cercando qualsivoglia scusa pur di non perdersi l’Evento del momento? Forse perché viviamo nella società del culto dell’immagine in cui sei rock se entri gratis a mostre, spettacoli, eventi e una semplice nullità se non hai accesso a tali privilegi. Ma se poi la vera critica arriva e stronca ecco che il prodotto si sgonfia e tutti a chiedersi il perché e la necessità di tali lavori. Forse molte volte bisognerebbe solo pensare bene a cosa si mette in scena, pensando al messaggio che si vuole far passare e a quello di cui il pubblico, meglio la società, ha bisogno perché il popolo sta riscoprendo la valenza della parola e del testo.
E’ peraltro voglioso di sapere e non si cura se la stessa critica emette la sua sentenza perplessa su uno spettacolo recitato in dialetto siciliano, ma senza sottotitoli. Non siamo così stupidi da fermarci al dialetto, c’è ben oltre e non lamentiamoci poi se i nostri talenti scappano all’estero.�