di Elisa Ferrari La morte è ovunque. Siamo inondati da immagini di corpi esanimi: telegiornali, programmi di attualità, cartelloni, manifesti. Figure di cadaveri contorti, abbandonati, putrefatti, ammucchiati, si depositano sul cristallino e vengono rielaborate dai circuiti neuronali.
Nessuna reazione, nessuno sconvolgimento. La morte non ci appartiene più, non è più nostra, non è più parte della vita, è solo morte. Bisogna mostrarla, sempre più dettagliatamente, per poterne prendere le distanze. La morte è diventata un tabù, qualcosa da censurare, allontanare, dimenticare, fare finta che non esista. I morti in tv sono lontani da noi, la morte non ci può colpire, la morte mediatica non puzza, non fa male, incuriosisce, ma non si comprende, perché diventata inumana. Notizia al telegiornale: “Alcuni ragazzi riprendono con il telefonino una loro compagna agonizzante sul marciapiede.” Nessuno agisce, la mente è già oltre, su internet, su youtube, dove il filmato potrà essere caricato, cliccato, visto, rivisto.
Converso telefonicamente con Gianfelice Facchetti, autore/attore de Nel numero dei +, gli espongo queste mie divagazioni mentali…”E’ una mascherata doppia”, mi dice, “siamo vittime di un potere repressivo che costringe a trovare vie alternative…Ma se sai dov’è il nemico, sai anche il linguaggio per difenderti”. Dalla conversazione densa e accanita emerge che c’è nella società di oggi il desiderio incessante di sostituire il privato con il pubblico, di far diventare tutto evento, il potere incita ad esibirsi, ci troviamo in una società della rappresentazione. Nel numero dei + si ispira in particolare a due fatti riguardanti appunto il tema della morte: a Vancouver nella British Columbia è stato costruito un palazzo a nove piani tutto dedicato alla celebrazione di ‘funerali a tema’, ambientazioni esotiche, piuttosto che futuristiche. Mortyland per farla breve.
Su cofanifunebri.com, invece, la morte viene offerta come oggetto sessuale, di piacere: donne seminude o semivestite posano in atteggiamenti pseudo-provocanti appoggiandosi languide a diversi modelli di bare. Un calendario, ecco. Allora uno – il futuro morto o un familiare?- ordinerà la bara di giugno perché Clarissa è così viva che sembra quasi di ordinare un ninnolo su e-bay.
Meglio un’allusione al sesso della morte.
E allora il gioco sta tutto lì: censurare la morte e aspirare ad una giovinezza eterna. In un tempo che nega realtà alla vecchiaia e alla malattia il vibromassaggiatore e il botulino diventano il solo ed unico mezzo per cercare di allungare il più possibile la farsa.
Poi chiedo a Facchetti cosa ne pensa dei ragazzi che fotografano la compagna a terra con il telefonino: “E’ la percezione del videogioco: finita la partita il gioco inizia di nuovo, c’è un analfabetismo emotivo e sentimentale, giocano sul limite perché non c’è limite”.
Ma di chi è il compito di insegnare quale sia il limite? Anche perché forse non è più qualcosa che riguarda solo ed esclusivamente gli adolescenti: la spettacolarità della morte diventa evento espositivo-voyeuristico nelle mostre-autopsia dell’artista tedesco Gunter von Hagens, meglio conosciuto come dottor Morte, anatomopatologo cinquantottenne creatore della plastination. Il processo, che costituisce una vera e propria ‘mummi-plastificazione’ delle membra umane, permette di rendere cadaveri umani perfettamente rigidi ed inodori.
Si prende un corpo, meglio se già morto, ancor meglio se di una donna incinta, o di un uomo con deformazioni fisiche, lo si immerge in una soluzione di acetone a -25 per far sì che dreni i liquidi, sostituiti in seguito da iniezioni di plastica fluida, che solidificherà all’esposizione di raggi ultravioletti. Ecco fatto, il soggetto è servito, la materia pronta per essere scolpita, manipolata, sacrificata, o dissacrata. A questo punto il dottor morte darà sfogo al proprio estro artistico, agendo direttamente sulle carni, se tali ancora si possono chiamare. Così dottor Morte sega braccia e gambe e le appende a fili di nylon dando ‘vita’ ad un grottesco burattino dinoccolato e fluttuante, sventra il pancione di una donna incinta di cinque mesi ponendo in evidenza il feto, anch’esso plastinato. Forse il processo di plastinazione è stato creato proprio per questo, per rendere i corpi meno umani, per renderli più materiali, meri oggetti, manichini. Per avere forse un coinvolgimento meno diretto, meno intimo. Del resto ora la carne in buona parte è diventata plastica, materia inorganica, niente decomposizione, niente liquidi, odori, umori. Sul sito di Hagens si legge Body Worlds, the original exibition of real human bodies. Anche se proprio real non sono. Quest’uomo è un mostro? Di certo non un assassino, lui i corpi li prende negli obitori, è tutto legale, sono state firmate delle dichiarazioni prima del decesso.
Morale o immorale?
Si potrebbe persino pensare che, nell’ottica di una sfida alla morte, fenomeno di moda nella società contemporanea, l’attività del dottor Morte si inserisca perfettamente nella corsa verso l’immortalità.
Il dato certo è che le mostre di Hagens fanno il giro del mondo e registrano il tutto esaurito.
Cosa spinge le persone ad andare a vedere una mostra del genere? Curiosità, morbosità? Ancora una volta la morte viene commercializzata, divulgata… leggera, fresca, facile.
Ma una volta non c’era la morte nera? Ora no, si colgono altri colori: il viola - che fa morto, ma che va pure tanto di moda!- ci rimanda al Premio Fior Viola con il quale si premia il ‘miglior trattamento al morto ed alla famiglia’, e poi nuovi colori per i tessuti che arrederanno la camera mortuaria, nuove nuances, come l’ultima tonalità color champagne…questione di tanatoestetica.