mercoledì 5 marzo 2008

I CLOWN E LA CITTA'

di Alessandro Serena
Sono due le immagini che vengono in mente pensando al Festival del Clown di Milano, creato da Maurizio Accattato. Si tratta dell’apertura e della chiusura de I Clown, uno dei capolavori di Federico Fellini. Il regista di Rimini è l’artista italiano che in maggior misura ha legato il proprio immaginario a quello del circo, sino a ri-costituire quest’ultimo. I Clown inizia con la scena di Federico bambino, che si affaccia alla finestra un mattino grigio e (sorpresa!) al posto di un brullo piazzale desolato, scopre un mondo di colori, musica, umanità: nottetempo in città è arrivato un circo! È un po’ quello che succede con il Festival di Accattato. In una metropoli, spesso impegnata in corse frenetiche, alzarsi una mattina e scoprire che sono arrivati i clown è una bella sensazione. Per altro si tratta di clown che più che di far ridere si propongono di far riflettere, si adoperano nel sociale, cercano di far capire qualche loro istanza, invadono la città tentando di cambiarne alcune delle abitudini, si propongono in qualche modo come clown rivoluzionari. Ma l’immagine che chiude I Clown di Fellini è diversa e più malinconica. Il clown Zanzara (il cui figlio Fumagalli, per altro, è oggi fra i maggiori artisti della comicità) spiega al regista: “Lo sa signor Fellini, una volta facevo un numero con un mio compagno che si chiamava Fru Fru. Si faceva finta che era morto. Io entravo in scena e dicevo: dov’è Fru Fru? Ma non lo sai, mi diceva il direttore, è morto! Ma come è morto, dicevo io! Mi deve restituire le dieci salsicce e la candela che gli ho prestato l’anno scorso! Ebbene è morto, mi diceva il direttore. Dove posso trovarlo, dico io? Ma cretino, ti dico che è morto! Allora io che non mi davo per vinto, mi mettevo a chiamarlo: Fru Fru! Fru Fru! Niente. Non rispondeva. Che sia morto davvero, dicevo io? E se è morto come faccio a trovarlo? Uno non può mica sparire così. Da qualche parte deve stare. Fru Fru! Finché mi viene un’idea. Lo chiamerò con la tromba come quando lavorava con me. E così comincio a chiamarlo con la tromba. Suono le prime note… sto a sentire… niente. Riprovo. Era una canzone molto bella che faceva piangere. Faceva così…” e partiva uno struggente assolo di tromba. Il clown muore. E non può bastare un Festival per farlo risorgere o per scovarlo nascosto da qualche parte, come sperava Zanzara. Il clown è una figura seria, padroneggia delle tecniche antiche che però innova. Per far questo deve provare, allenarsi, non lasciare niente all’improvvisazione. Deve lavarsi i denti tutti i giorni. Il lavoro del clown e quello sul clown deve durare sempre, a volte tutta una vita. Altrimenti il rischio è quello di far riferimento ad un’altra figura simbolica che arriva dall’altro grande maestro del cinema, Charlie Chaplin che chiude il suo bellissimo Circus con Charlot seduto triste al centro della malinconica traccia di un cerchio di segatura. Uno dei luoghi comuni più diffusi del Novecento: il circo parte e lascia solo un ricordo. Il clown parte, ma deve lasciare qualcosa più.

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