mercoledì 28 novembre 2007

Meglio la critica o il pubblico?


di Lucio Perca

Che bello vedere le sale teatrali piene in questi tempi grami per la scena italiana in cui molti ma non tutti (per fortuna) parlano di profonda crisi irreversibile. Non dimentichiamo infatti che da tempo, troppo, il teatro subisce il fascino e l’eco del cinema che però, è doveroso dirlo, se non avesse dietro tutto il battage pubblicitario di starlette, ereditiere-attrici, pseudo attori vip e mecenati altolocati vivrebbe sicuramente le stesse sorti di un palcoscenico. Una considerazione nata dall’aver visto negli ultimi tempi le sale milanesi (senza fare nomi per non fare elogi o torti a nessuno) piene di giovani, giovanissimi, cultori della materia, insomma un folto pubblico attento e concentrato alla parola, al gesto, alla ricerca, alla drammaturgia, ai giochi di luce e ai cambiamenti improvvisi che avvengono in diretta davanti e dietro le quinte. Un mucchio di spettatori e di gente che ha avuto modo di avvicinarsi alle meraviglie del palcoscenico anche grazie all’ottima idea della Provincia di Milano di istituire la festa del teatro con biglietti a prezzo ridottissimo e visite guidate, laboratori e senminari annessi. Sicuramente gli appassionati di questo mondo hanno apprezzato, potendo finalmente calarsi più da vicino in una realtà che hanno sempre amato, trascinando così molti neofiti dell’ultima ora che si sono avvicinati al magico mondo del teatro per scherzo o per curiosità, ma che per detta di amici teatranti stanno tornando sul luogo del delitto popolando le sale e le gradinate dove si svolgono i vari spettacoli. Che la gente abbia finalmente capito che i Grandi Fratelli, le Isole Famose e i vari programmi da tv del dolore hanno scocciato ed è ora di tornare a sentire la magia del teatro, il fruscio di una quinta, il caldo di un proiettore, in una parola il Fascino con la s maiuscola del testo recitato. Nell’attesa che questa flebile speranza si manifesti e si concretizzi con dati di fatto certi e concreti, è però doveroso sottolineare l’eterna insoddisfazione dei protagonisti primi di questo mondo, attori e registi in primis, che non fanno altro che lamentarsi della mancanza di critica, uscite sui giornali necessarie solamente per manifestare la propria presenza e il proprio bisogno di apparire ed esistere. Dov’è finito il gusto della narrazione, dell’antica oralità di un vecchio aedo che raccontava per il solo gusto di tramandare e far conoscere al mondo, non alla platea da tutto esaurito e botteghini chiusi? Perché quando gli spettacoli sono belli e vale la pena non perderli si palesano tutti all’orizzonte chiedendo omaggi, accrediti, spacciandosi per critici e cercando qualsivoglia scusa pur di non perdersi l’Evento del momento? Forse perché viviamo nella società del culto dell’immagine in cui sei rock se entri gratis a mostre, spettacoli, eventi e una semplice nullità se non hai accesso a tali privilegi. Ma se poi la vera critica arriva e stronca ecco che il prodotto si sgonfia e tutti a chiedersi il perché e la necessità di tali lavori. Forse molte volte bisognerebbe solo pensare bene a cosa si mette in scena, pensando al messaggio che si vuole far passare e a quello di cui il pubblico, meglio la società, ha bisogno perché il popolo sta riscoprendo la valenza della parola e del testo.

E’ peraltro voglioso di sapere e non si cura se la stessa critica emette la sua sentenza perplessa su uno spettacolo recitato in dialetto siciliano, ma senza sottotitoli. Non siamo così stupidi da fermarci al dialetto, c’è ben oltre e non lamentiamoci poi se i nostri talenti scappano all’estero.�

Libere maschere contemporanee


foto www.sickgirl.it

Da un lato vi è una realtà che intende inforcare la maschera, dall’altro un teatro che sente come urgente la necessità di toglierla. Dalle spaghetti pin-up nel metrò, ai reality e second life: tendenze di teatralità diffusa.


Di Alessio Ramerino

Nel corso del secolo Decimonono il pubblico gremiva le platee non esclusivamente per godere di uno spettacolo lirico o di prosa: una caledoscopica molteplicità di esibizioni si avvicendavano sui palchi delle sale soprattutto minori. Spesso il medium teatrale era usato per esporre in maniera spettacolare le più recenti scoperte della scienza: due elettrodi che generavano una scarica visibile tra loro, esperimenti sulla luce, dimostrazioni di macchine tecnologiche innovative presentate dai loro inventori, ecc., ecc. In un’epoca precedente all’avvento dei mezzi di comunicazione di massa e, contemporaneamente, passiva di una celere rivoluzione industriale e tecnico-scientifica si avvertiva l’esigenza di comunicare alla gente, quanto più direttamente possibile, i risultati delle conquiste del progresso umano. Chiaramente, tali esibizioni poco avevano a che fare con lo sviluppo scientifico vero e proprio, tuttavia alla necessità di un allargamento dell’informazione era fuor di dubbio altresì sotteso un senso particolare per l’esibizione. Nel medesimo filone si inserisce altresì una teoria di spettacoli, al limite tra arte teatrale e arte circense, che presupponevano la rassegna, ad esempio, di gruppi di nani ovvero di gobbi agenti farse o azioni drammatiche.

Lo tsunami creato dallo sclerotizzata crescita di mass media ha privato il mezzo teatrale della funzione comunicativa indirizzata alle masse. Nondimeno, connaturato a certi aspetti dell’umana natura rimane l’attitudine all’ostentazione, anche se ora in essa non è sempre rintracciabile un fine comunicativo né un messaggio da veicolare. L’esempio lampante di tutto ciò è sotto i nostri occhi ogni giorno: reality – veri o creati su copione, ma comunque dotati di un certo grado di credibilità – in cui persone comuni si rivelano nella loro mediata normalità, ristoranti con cucine a vista, dove istrionici cuochi cucinano per la platea degli avventori, persone che vivono in vetrina sotto gli occhi del pubblico astante; senza contare poi le interazioni generate dalla creazione di alter ego virtuali nelle chat-line, in programmi come second life e in videogiochi quali The sims.

Una delle più recenti e esplicite occorrenze di una simile tendenza è da ritrovarsi nel recente spettacolo di lap dance – che avviene con rara ma rilevata cadenza – agito da una ragazza vestita da gatta nei vagoni della metro di Milano. La studentessa gattina dà vita al suo provocante show per poi passare tra passeggeri perturbati e divertiti con il classico bicchierino raccogli obolo. Ella fa parte di un gruppo di giovani donne raccoltesi attorno a una community virtuale, sempre aperta a nuove adepte, chiamata Sickgirls. Le spaghetti pin up (www.sickgirl.it), le cui componenti si definiscono moderne e italianissime pin up che mescolano la delicata sfrontatezza delle donne da copertina dell’America anni Cinquanta con una vena dissacrante in tutto contemporanea. Se la danza in metro si configura come l’esempio più esplicito della volontà provocatoria delle componenti il gruppo, in una breve presentazione versificata delle loro attività all’inizio si legge: “Erotismo teatrale con un pizzico di ironia!”. Un tale manifesto si esplicita in servizi fotografici, recensioni, articoli, racconti inediti e tutta un’altra serie di materiale in accordo con la linea editoriale del sito pubblicato sul web. Tuttavia, quello che a noi preme in questa sede è cercare di reperire una certa liceità dell’utilizzo del termine teatrale.

Innanzi tutto e da rilevare come privando un’esibizione di un messaggio da trasfondere essa diventi esibizione pura o, meglio, “esibizionismo”, sciolto dai vincoli propri del medium teatrale. Nel caso in esame, tuttavia, ci troviamo di fronte a una volontà provocatoria e quindi portatrice di significato. In più, nel particolare vi è anche la necessità comunicativa di esporsi davanti a un pubblico tangibile, mediando il proprio essere attraverso l’appartenenza a un gruppo, attraverso un codice espressivo di cui, a priori, sono state assegnate precise coordinate comportamentali.

Più volte abbiamo utilizzato l’aggettivo “mediato” in questo scritto, tuttavia, dato l’ambito teatrologico a cui le nostre riflessioni afferiscono, sarebbe più consono utilizzare il termine “maschera”. Cifra di qualsivoglia tipo di esibizione veicolante un messaggio, l’utilizzo di una maschera, sia essa reale o immaginaria, diviene sovente la chiave interpretativa del messaggio stesso, ponendosi rispetto ad esso in rapporto metaforico. Vieppiù, la maschera permette di assumere una sorta di identità altra immune dalle critiche personali, di sentirsi protetti qualora si voglia sciogliere i freni dell’inibizione, di rivestire un ruolo in tutto e per tutto teatrale e rappresentativo, di agire una parte anziché viverla.

Abbisogna ora condurre l’analisi relativa all’altra faccia della medaglia. Più volte in alcune mie ricerche di ambito spettacolistico contemporaneo mi sono trovato di fronte a poetiche teatrali tese a riportare sul palco la confessione non più del personaggio bensì dell’attore, unita all’esibizione del corpo nudo e di scioccanti particolari, compresi sudore e altri fluidi organici (Si veda a tale riguardo un articolo firmato da Renato Palazzi e apparso sul Il sole 24 ore del 5 marzo 2006, in cui il critico commenta le tendenze spettacolistiche giunte alla Biennale Teatro). Tale modalità rappresentativa pare tesa al volere rintracciare una nuova cifra ontologica dell’evento live, “dal vivo”. Naturaliter, tutto ciò che avviene su di un palcoscenico deve fare i conti con il tramite insito nel mezzo teatrale in senso comunicativo e, dunque, rinunciare a un più o meno rilevabile quid di realtà e assumere forzatamente le caratteristiche di trasmissione mediata.

In conclusione, da un lato vi è una realtà che intende inforcare la maschera, dall’altro un teatro che sente come urgente la necessità di toglierla. Impossibile stabilire, a meno che non lo si faccia con psicologia e antropologia da quattro soldi, se la provenienza delle tendenze rilevate sia da considerarsi figlia di un’inconscia riflessione parallela ovvero se si tratti di pura casualità; più certo parrebbe asserire che la ricerca di una verità sempre più reale da parte di alcune poetiche rappresentative sia una reazione all’invasione della realtà nell’ambito comunicazione di massa, realtà fittizia ma creata e recepita come autentica. A noi non spetta giudicare, il nostro compito è limitato all’osservare e al registrare tendenze come quelle sopra descritte, per ora prive della distanza critica necessaria a una loro categorizzazione.


SUCCESSO EMMA DANTE


di Elisa Ferrari

In questi giorni il palcoscenico del Crt si vede ‘invaso’ dalle performance degli attori della compagnia Sud Costa Occidentale diretta da Emma Dante.

In apertura di rassegna ‘Mishelle di Sant’Oliva’, pièce per un padre e un/a figlio/a che indaga il difficile rapporto tra due esseri umani legati visceralmente nel ricordo di un' amante/madre/ballerina.

Poi ‘Carnezzeria’, vincolo di sangue tra fratelli che per riconquistare l’onore nascondono un rito drammatico sotto la superficie gioiosa di un evento festivo. E ancora ‘La Scimia’, poi ‘mPalermu’ e ‘Vita mia’ in chiusura. Quasi tutto il teatro della Dante che, sottoforma di intima poesia, scandaglia le tematiche più dure di una sicilianità antica e radicata.

La regista omaggia il suo pubblico proponendo gli spettacoli che l’hanno accompagnata lungo tutto il suo percorso artistico, spettacoli che l’hanno fatta crescere portandole conferme importanti, anche attraverso i vari premi ricevuti quali ‘Premio Scenario 2001’ con ‘mPalermu’ e ‘Premio Ubu’ 2002 e 2003 rispettivamente con ‘mPalermu’ e ‘Carnezzeria’.

A sua volta il Crt omaggia la giovane creatrice ospitandola in questa originale iniziativa che diventa importante luogo di scambio.

Proprio al Teatro Dell’Arte Emma Dante debuttò otto anni fa con 'mPalermu', quando aveva già alle spalle una solida carriera di attrice ed alcuni spettacoli da lei creati e diretti, ma non si era ancora affermata pienamente in qualità di regista. Il Crt ha contribuito alla sua affermazione artistica e la risonanza che questo nome e questi spettacoli stanno avendo in Italia e all’estero lo dimostrano.

Si, oltre l’Italia. Al di là delle Alpi ci sono ‘pubblici’ che amano gustare gli spettacoli della drammaturga siciliana.

Tra maggio e giugno la compagnia ha debuttato al Rond Point di Parigi, uno dei teatri più in voga della città bohémien nel quale si rifugia un pubblico curioso ed ‘alternativo’. Per ben sei settimane gli attori di Sud Costa Occidentale hanno calcato le scene del prestigioso teatro portando alla ribalta ‘Mishelle di Sant’Oliva’ e ‘Vita mia’. Quest’ultimo ha fatto letteralmente innamorare il direttore Michel Ribes, secondo il quale Emma Dante riesce ad analizzare i nodi più profondi dei rapporti umani affrontando temi delicati ma assolutamente attuali quali la morte e la transessualità con estrema freschezza; un linguaggio molto vicino alla sua idea di teatro, probabilmente un ‘linguaggio universale’ che non necessita di una traduzione in lingua dei testi, ma di una semplice sottotitolatura.

Il dialetto siciliano rimane integro, il messaggio arriva comunque, supportato dal linguaggio del corpo e da una cantilena che, come un mantra, assorbe l’attenzione del pubblico d’oltralpe.

Altro traguardo dell’anno 2007 è stato per Emma Dante e i ragazzi della sua compagnia il Festival di Liège in Belgio diretto da Jean Louis Colinet, che dirige anche il Théâtre National di Bruxelles. Questo festival, che si tiene ogni due anni, si pone l’obiettivo di diffondere le arti performative contemporanee.

In realtà gli artisti siciliani erano già stati ospiti nel 2005 con ‘La Scimia’, spettacolo che riflette sul significato della religione in una società forse troppo tradizionalista. Quest’anno il festival ha proposto al suo pubblico ‘Cani di bancata’ , uno spettacolo tra i più complessi per la densità e la quantità di segni e sottolinguaggi scenici. Il pubblico ha reagito positivamente. Perché? Perchè in ogni caso si tratta di un teatro che regge su temi universali e profondi. Un teatro, quello della Dante, privo di sfarzi e di eccessi, dunque. Un teatro intimo che, quasi come dentro una filastrocca, porta in scena l’essere umano in tutta la sua frustrazione e la sua fragilità. Un teatro pieno di folklore che, come uno specchio, riflette l’animo di chi sta osservando dalla platea. Questa è probabilmente la forza di un teatro che comunica universalmente.

mercoledì 21 novembre 2007

I luoghi hanno proprietà magiche

di Laura Calebasso

Il filosofo francese Denis Guénoun, ospitato l’anno scorso al CRT, si è spesso interessato al teatro in quanto luogo di incontro protopolitico, intendendo che l’unica genuina fonte del potere coincida con il corpo sociale, e che ogni incontro pubblico di esseri umani con altri esseri umani, contenga un forte potenziale di autodeterminazione.
Questo assunto porta almeno due tipi di conseguenze: in primis, i momenti improduttivi dedicati all’aggregazione risultano fondanti della dignità umana. In secondo luogo la possibilità di rispondere del destino comune dipende dalla qualità dell’incontro. Prescindendo qui dal fattore delle circostanze storiche, che richiederebbero un’analisi a sé stante, questa qualità dell’incontro non manca di essere esaminata seriamente da Guénoun il quale, ad esempio in Exibition des mots valuta l’impatto con cui l’architettura, la collocazione urbanistica ed altri “dettagli”- incidono sul modo di stare insieme in un luogo.
Abbiamo dunque stabilito che lo scambio passa attraverso diversi strati di materia: corpo, corpo di corpi, e la struttura che gli accoglie. Arrivati a questo punto immaginiamo di togliere la caratterizzazione fisica degli ambienti e degli attori sociali. Ci troviamo in uno spazio potenzialmente illimitato, un universo attraverso il quale proiettare il mondo reale insieme alle nostre fantasie. Abbiamo buttato via le nostre ingombranti enciclopedie perché con un click tutto il sapere prodotto dall’umanità è disponibile in rete; possiamo anche fare la spesa, incontrare i nostri amici, possiamo innamorarci, partecipare a forum su quasi ogni argomento. Non da ultimo possiamo dare atto a vere e proprie azioni politiche: su questo punto delicato torniamo a confrontarci con la questione protopolitica di Guénoun.
Ciò che è politico si colloca su di un livello di intellettualizzazione posteriore rispetto alla semplice aggregazione, per questo il suo lancio in uno spazio fatto di codici binari ed impulsi elettrici, simili a quelli del cervello, si compie con successo; è invece difficile pensare di esaurire la “materia prima” della politica, dell’arte, e di tutto quanto fonda il tessuto di una civiltà- nel quadro di una struttura esclusivamente neurologica.
Entrando in uno spazio senza luogo, è consentito depositare come un cappotto, la propria identità in un guardaroba immaginario, dove è possibile indossare con disinvoltura (nella discrezione che solo una perfetta solitudine garantisce) qualità inconfessabili o maschere funzionali a raggiungere determinati obiettivi. Pensiamo ad esempio agli infiltrati, che frequentano una o più chat room allo scopo raggiungere finalità oscure agli altri membri, ad esempio per acquisire informazioni. Da un lato vediamo chi approfitta dell’anonimato per lasciarsi andare, magari facendo emergere versanti insospettabili del proprio stare al mondo; dall’altro chi svolge il mestiere della spia, è infinitamente rilassato e al sicuro dal proprio corpo: sappiamo quanto banale sia mentire e quanto, invece, sia complesso essere credibili. Il corpo è qui, la stessa espressione l’abbiamo portata a scuola e al supermercato, ovunque sempre la stessa faccia. Il corpo che suda, rabbrividisce, un sorriso che non si contiene ed il gioco è rotto. Il corpo garantisce della sincerità di ogni singola performance di sé stessi.
La non-architettura della città sotterranea consente ciò che la verità ostacola, incontrarsi senza che nessuno sia presente permette di studiare il colore del negativo, per dipingere un ritratto profondamente espressivo di ciò che siamo e che non siamo. La realtà incrocia la fantasia, la creatività sociale amplia le sue possibilità fuori dai limiti imposti dalla materia dei corpi e del cemento e si tuffa nel grande sogno collettivo. Potremo risparmiare agli dei la fatica di incarnarsi in un assemblea riunita, e più semplicemente al teatro di lasciare il passo ad una grande rappresentazione spontanea, alla quale ognuno partecipa senza esporsi. Resta da chiederci se si stia parlando finalmente dell’Eden o del paese dei balocchi…

Il pubblico questo sconosciuto

di Elisa Ferrari

Nel corso della storia il pubblico è stato un essere metamorfico. In passato lo caratterizzava una certa consapevolezza sia riguardo al fatto di possedere un ruolo, sia a come questo ruolo doveva essere esercitato. Nell’antica Grecia l’atteggiamento era di carattere politico. Nel medioevo sfociava in un sentire religioso. Dall’800 questa partecipazione ‘attiva’ subisce una battuta d’arresto; il teatro si trasforma in puro intrattenimento, del tutto autoreferenziale. Il ruolo del pubblico non è bene identificato, forse non c’è.
Arriva il ‘900.
Nella definizione di ‘teatro della crudeltà’ Artaud rifiuta l’idea di arte come imitazione della realtà, sostenendo che l’arte sia la vita stessa.
Vengono così scardinati i ruoli e gli obblighi della teatralità classica.
Lo spettatore non si identifica più come fruitore passivo; lo spettacolo non è più oggetto di quello stesso sguardo passivo. Lo spettacolo è un vortice che inghiotte lo spettatore. Subentra il concetto di festa: teatranti e collettività divengono comunità in una sorta di rito di purificazione, o forse di contagio.
Nel rito del teatro ogni individuo partecipa empaticamente alla festa, senza distinzione di ruoli.
Se si parte dal presupposto che il teatro esplora la condizione umana, è uno squarcio, una finestra sul mondo contemporaneo che propone una visione globale e critica sulle condizioni della società, che visione ha del mondo lo spettatore d’oggi?
Qual è oggi il ruolo che appartiene al pubblico?
Il pubblico ha un ruolo?
Dopo Artaud, dopo Piscator, dopo le avanguardie, si ha l’impressione di aver subito una regressione di un paio di secoli.
Dentro la scatola teatrale lo spettatore è ‘asettico’, automizzato. Guarda (o forse vede). Applaude. Partecipa? E’ emotivamente coinvolto?
Forse si è persa la libertà del giudizio. Il pubblico subisce. Ci si lascia ‘torturare’ da spettacoli che offendono la dignità dell’osservatore. Non si prendono posizioni. Si rimane nell’anonimato dell’applauso ad ogni costo sino all’accensione delle luci. Perché?
Forse per paura di non sentirsi più parte di un gruppo, che in ogni modo ha fatto una scelta importante e vale a dire quella di andare a teatro?
Il pubblico si sta disabituando a ciò che accade.
Lo spettacolo a volte si riduce ad un semplice esporsi ad uno sguardo non pronto ad accogliere.
Se gli artisti non hanno nulla da dire, se la messinscena diventa mera esibizione del sé, se il pubblico partecipa solo fisicamente all’evento, se il corpo dello spettatore abbandonato sulla sedia diventa bersaglio che non reagisce ai colpi sparati a salve poiché non esistono colpi reali data l’assenza di messaggio, dopo tutti i ‘se’ dov’è il teatro? Dov’è lo scambio? Dov’è la comunicazione?
Se i partecipanti rifiutano il proprio ruolo, dov’è la festa?
Probabilmente il senso di comunità e, di conseguenza, il senso del teatro sono palpabili in luoghi non prettamente deputati al teatro stesso. Come diceva Artaud "l’arte è vita" e forse il teatro ha scelto di vivere per le strade di una città anonima ma viva.

Riflessioni sulla brevità

di Serena Mola

Short Formats. Sei serate, dodici spettacoli, quattrocento minuti scarsi. Perchè?
Ogni spettacolo, si desume con un facile calcolo, rivela la propria breve durata: una mezz’ora circa. Gli interventi artistici, talora presentati nella loro concezione originaria, altre volte appositamente “tagliati” si sono caratterizzati quindi per una scarsa dilatazione temporale, che sovente ha fatto da contraltare ad una criptica densità concettuale.
La brevità è d’altronde programmaticamente annunciata dal duplice titolo della rassegna, che ad una esplicita e preliminare indicazione di “genere”, Short format, aggiunge un (sovra) titolo emblematico: Intermittenze danza.
Oltre che una sempre più acclimatata tendenza della “creatività performativa contemporanea” l’accorciamento dei tempi è forse uno dei tratti più tipici della modernità in senso lato, in particolare nell’accezione metropolitana del termine.
Ed è interessante, alla luce di queste premesse, avvicinare i due ambiti appena accennati, e provare a leggere il formato breve (in questo caso di spettacoli di danza) come erede di alcune esperienze letterarie fondamentali del nostro tempo, cercando di compiere un viaggio attraverso quattro momenti, quattro tappe del pensiero occidentale che, inconsapevolmente ci hanno segnato e che forse, rilette in quest’ottica ci sveleranno qualcosa delle dodici brevi messe in scena.
1857, Parigi. Uscita delle Fleurs du mal. La modernità irrompe nella letteratura, anzi l’impatto è ancora più forte, nella poesia, nel sonetto che implode sotto i colpi di contenuti sensuali e scandalosi, ma profondamente umani.
1955, Germania. Walter Benjamin, nei suoi scritti dedicati a Baudelaire, cerca di dare conto di un fondamentale stravolgimento antropologico, di cui il poeta maledetto per eccellenza è l’indiscusso iniziatore. Benjamin chiama Choc l’esperienza istantanea, che, proprio come (e non a caso) un’intermittenza, guida l’uomo nella metropoli: sguardi fuggitivi, ritmi frenetici, urti indelicati e improvvisi.

1909-1922, Francia. Marcel Proust rinviene tracce del Tempo perduto grazie alle Intermittenze del cuore, lampi in cui sensazioni dettagli, immagini di un passato che si credeva cancellato riemergono fulmineamente con forza straordinaria.
1950-1979, Italia/Francia. Italo Calvino pubblica numerosi scritti, romanzeschi e saggistici: dalle tre allegorie dell’uomo moderno, unite nella Trilogia degli antenati, a Marcolvaldo, dalle Città invisibili fino alle Lezioni americane. In questi testi, in modo diverso il principale tema è proprio quello della modernità, e del suo impatto sull’uomo, che ne esce dimidiato, svuotato, alienato…
Il fil rouge che collega tutte queste esperienze è proprio la brusca rottura esperienziale a cui dà luogo l’avvento della modernità industriale, urbana, o, se si vuole, metropolitana. La città diviene quindi un vero palco scenico, su cui l’uomo esibisce inconsapevolmente se stesso nella sua quotidianità stravolta.
Ciò che è rilevante sottolineare ai fini del nostro discorso è che questo sconvolgimento antropologico colpisce soprattutto una dimensione, quella temporale. I tempi della città sono rapidi, incalzanti, perpetuamente ritardatari e affannati, ansiosi e concitati. Orari, impegni e scadenze rischiano di robotizzare le giornate dell’uomo metropolitano, di appiattire la dimensione della quotidianità in una routine uguale a se stessa, scandita dai ritmi della catena di montaggio.
Calvino non si lascia impressionare da questo rischio, anzi, trova l’antidoto letterario per combatterlo: la Brevità. I tempi della letteratura che, ricordiamo è prerogativa irrinunciabile dell’animo umano, si fanno così conformi alla variazione paradigmatica allora in corso, e ora assestata. Calvino cioè pubblica testi brevi per andare incontro ad un lettore che, curioso e interessato, ha però meno tempo dei suoi “colleghi ottocenteschi”.
Estendendo il discorso letterario all’ambito teatrale prende forma una delle strade che ci consentono di capire il perché di Short formats: il lavoro scenico, accorciandosi, facendosi Intermittente, si rende compatibile con nuovi ritmi di vita.
Ecco allora il perché di sei serate, dodici spettacoli, quattrocento minuti scarsi.

martedì 30 ottobre 2007

Presto al via Short Formats


INTERMITTENZE DANZA

Al via Short Formats, ottava edizione

SHORT FORMATS, lo storico festival internazionale della nuova danza, creato e pensato dal CRT, giungerà nel 2007 alla sua ottava edizione. Conforme ad una tradizione che da sempre privilegia la qualità delle proposte e l’attenzione nei confronti delle nuove generazioni e delle nuove espressioni coreografiche performative, il festival svolgerà quest’anno una riflessione focale sugli artisti che lavorano sulla “intermittente” linea di confine tra la danza e le altre arti, quali la musica, il teatro di narrazione, le arti visive, il cinema. All’interno di questo spunto, che riteniamo sostanziale nell’evoluzione della giovane danza contemporanea in Italia e all’estero, SHORT FORMATS presenterà una panoramica di gruppi selezionati nel contesto nazionale e internazionale che maggiormente si sono distinti per qualità, serietà, intensità. Tra essi ricordiamo le prime assolute di Luca Scarlini e Luisa Cortesi con Chiudi gli occhi e quelle di Daria Deflorian e Alessandra Cristiani con Corpo a corpo. Di rilievo inoltre, entrambe in prima nazionale, le performances del portoghese Victor HugoPontes e della libanese Danya Hammoud. Ancora Francesca Proia, reduce dalla significativa esperienza con la Societas Raffaello Sanzio, gli Ooffouro, Antonio Tagliarini, Cosmesi, Immobile Paziente, Gruppo Nanou, il turco Mustafa Kaplan, Paola Bianchi e Teatro Sotterraneo. Come sempre il festival ospiterà laboratori, workshop, incontri con gli artisti e, importante novità, un laboratorio di analisi critica e giornalismo in collaborazione con l’Università Statale di Milano e il magazine del CRT Cenalora. All’interno della rassegna si terrà anche una riunione dei rappresentanti del Tavolo Nazionale delle reti e dei coordinamenti regionali della danza contemporanea.

L'opinione di Emma Dante


Come otto anni fa Abbiamo incontrato Emma Dante, la regista siciliana, a Milano per un laboratorio presso il CRT, per seguire la ripresa del suo imponente "Cani di Bancata" e introdurre idealmente la stagione del CRT, verso quella rassegna che a fine novembre riprenderà ben cinque spettacoli storici della Dante. "Riprendere spettacoli che hanno fatto la mia storia personale e anche quella di questo teatro, é significativio sia per me che per il CRT. La proposta si discosta dalla logica del mercato dell'arte per creare una ideale situazione che, all'interno di un teatro, mette a confronto l'intero percorso di un artista e il suo pubblico. mPalermu ha debuttato infatti al CRT ben otto anni fa, quando ancora pochi mi conoscevano. Trovo questo assai significativo". A proposito di Cani di Bancata, la cui ripresa si annuncia attesa e intensa, Emma dante afferma che "strutturalmente lo spettacolo non é cambiato. Ci sono state delle sostituzioni nel cast, ma questo non ha influito strutturalmente sulla messa in scena. Da un punto di vista più generale, estetico, dal punto di vista del ritmo, però, dopo una lunga tournée anche all'estero, lo spettacolo si é asciugato, ora ha un suo respiro più ampio e preciso".

martedì 16 ottobre 2007

Cani di bancata di Emma Dante


La mafia è una femmina-cagna che mostra i denti prima di aprire le cosce. È a capo di un branco di figli che, scodinzolanti, si mettono in fila per baciarla. Il suo bacio è l'onore. La cagna dà ai figli il permesso di entrare: “Nel nome del Padre, del Figlio, della Madre e dello Spirito Santo”. Bastona il figlio più giovane e gli mette un vestito imbrattato di sangue. Il mafioso risorge e riceve dalla Madre la benedizione. I fratelli lo abbracciano e comandano il giuramento: “Entro col sangue ed uscirò col sangue”. Il patto si stringe.
Così rielaboro il rito di affiliazione di un uomo che giurando davanti a Dio si consegna alla mafia per sempre. Questo rito antico è il folclore, ma il folclore è una tavola imbandita che serve a nascondere l'orrore. Dietro la quale, fuori dagli occhi, avviene ciò che non si può dire, che non entra neanche nelle cronache. La mafia è il trionfo della menzogna, è il rovescio che diventa verso, il sotto che viene a galla, il basso che si fa alto, il delitto che si trasforma in regola. Si può finire in questo recinto per nascita, per paura, o per amore. Chi entra contrae un vincolo eterno. I legami diventano indissolubili, i patti infrangibili. Non ci si può sottrarre, non si torna indietro. E' un'appartenenza selvaggia, di mandria. Chi esce dalla mandria muore.
In Sicilia abita un popolo che parla un gergo segreto, accompagnato da ammiccamenti, da gesti con le mani, la testa, gli occhi, le spalle, la pancia, i piedi. Un popolo capace di fare tutto un discorso senza mai aprire bocca. Emma Dante

Qualcosa da dire

di Jacopo Dalla Palma

Duecentodieci abbonamenti fra venduti e prenotati nel primo vero giorno di apertura della biglietteria per noi è un vero successo. Quella che doveva essere o forse anche “non essere” una stagione di transizione, una programmazione di low profile, in attesa di avere lumi sul nostro spazio e di conseguenza anche sul nostro futuro, si apre nel migliore dei modi e con i migliore auspici. Segno che qualcosa, forse, possiamo ancora dirla in un mondo che gira sempre più forte attratto solo, almeno sembra, dalle sirene della moda e dei grandi eventi e sempre meno avvezzo alle assi di un palcoscenico e ai suoi protagonisti. Secondo alcuni il teatro è ormai di nicchia ma è proprio questa nicchia di affezionati e appassionati, di giovani che ci scrivono e chiamano in continuazione per sapere di seminari o di laboratori, di persone che magari saltano una pausa pranzo per andare a fare un abbonamento teatrale, degli studenti che si presentano al nostro archivio per attingere le fonti per le loro tesi di laurea, che ci spinge a continuare, ad andare avanti. Nel nostro immaginario di stagione ci piace pensare che mostri sacri come Emma Dante e Natalino Balasso, Cesar Brie, Marco Sgrosso e Elena Bucci (a proposito complimenti vivissimi per il premio Olimpico conquistato con “LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURE”, passato anche dal nostro palco del Teatro dell’Arte), la Filarmonica Clown e Corrado D’Elia, Giorgio Marini e Abbondanza/Bertoni, facciano da chioccia ai giovani o ai non ancora sbocciati e poco conosciuti (al grande pubblico non certo a noi) Gianfelice Facchetti, Andrea Pinna, Maria Pia Pagliarecci, Claudio Autelli, le ragazze di “CASA D’ARGILLA” o i giovani danzatori e attori di “SHORT FORMATS” o “GENERAZIONE SCENARIO” E forse piace pensarlo anche a quanti hanno capito o capiranno la nostra programmazione, a quanti ci seguono e entrano con abitudine anche qui su Cenalora.it., il nostro sito di discussione, la nostra voce per urlare che ci siamo anche noi con tanti difetti ma anche con tanto entusiasmo e fervore. Desiderosi di andare incontro alle esigenze del pubblico abbiamo deciso di mantenere invariati i prezzi degli spettacoli rispetto all’anno scorso e di tornare ad investire su artisti che nel recente passato hanno lasciato un segno e sono entrati nella “nostra” storia come Elisabetta Pogliani e Paola Zecca, Fabrizio Parenti, Carla Chiarelli e Mimmo Sorrentino. Lo spettacolo deve ancora cominciare ma noi siamo pronti, seduti in prima fila, vogliosi di gustarci questa nuova, la trentaquattresima, avventura.�

martedì 25 settembre 2007

Marcel Marceau, la voce del silenzio

di Roberto Caielli

Marcel Marceau è morto sabato a Parigi. Il grande mimo, erede di Chaplin, dei Fratelli Marx, di Buster Keaton, aveva 84 anni, ed era nato a Strasburgo nel 1923. Proprio nel momento in cui il cinema muto e i suoi miti, insieme alle sue tecniche sull'attore e al suo fascino rituale e fantastico, tramontava per lasciare definitivamente il posto al sonoro, Marcel Marceau portava il silenzio nei teatri. Portava il silenzio della voce, il silenzio nei gesti, e la capacità di trasportarlo dentro l'intimo silenzio delle platee, cui veniva progressivamente imposta, dopo la guerra, la crescente quasi idolatra rumorosità del progresso. La sonorità degli spazi vuoti, trasformati dai gesti e dalle passeggiate lunari in ombre cariche di senso, fu tangibile al punto che persino il cinema se ne riappropriò. Sua, nel paradosso del contesto, era l'unica battuta recitata del famoso L'ultima follia di Mel Brooks. L'arte di fare silenziosamente rumore, la pantomima, profonda come le sue radici storiche perdute nelle farse atellane, ha perduto un maestro.

mercoledì 12 settembre 2007

Ecrire le théatre d'aujourd'hui


Una settimana al Festival internazionale di drammaturgia nella Lorena francese, a Pont-à- Mousson

di Alessia Gennari

Reportage di una fine d’agosto passata in una sperduta località della Lorena francese, Pont-à- Mousson, lontana dall’offrire allettanti ricette turistiche. Che cosa spinge me e moltissimi altri, almeno un centinaio di anime, a passare un’intera settimana chiusi in una splendida abbazia medievale, impegnati a seguire la media di sei messe in scena giornaliere, dal primo pomeriggio fino a notte fonda? È presto detto: mi trovo lì, in Francia, ci troviamo tutti lì - stranieri e autoctoni, studenti e professori, attori e registi, amatori e professionisti- per curiosare, come in una sfera di cristallo, nel futuro del teatro. Qui a Pont-à–Mousson ogni anno infatti si svolge puntuale un festival che si differenzia, per la sua offerta, da ogni altro festival teatrale estivo: intento precipuo della Mousson d’été- écrire le théâtre d’aujourd’hui è infatti quello di proporre una vetrina quanto più eclettica e peculiare delle nuove drammaturgie europee e mondiali. In un periodo storico in cui sempre più mancano, nel mondo, grandi scrittori di teatro e in cui la messinscena di testi contemporanei è sempre meno frequente, per lo meno nel microcosmo teatrale italiano, ecco uno spazio tutto dedicato al testo e agli autori: dei più di 20 testi presenti in programmazione quest’anno, la maggior parte sono stati messi in scena per la prima volta proprio nel contesto del festival e quasi la maggior parte di essi sono stati anche tradotti dalla stessa Mousson. Insomma, una maniera eccellente di far circolare le novità del settore, traducendole, pubblicandole e mettendole in scena (la maggior parte in forma di letture) per un pubblico di specialisti e non.
Grande spazio è stato attribuito quest’anno agli scrittori britannici, non a caso provenienti da un sistema teatrale che continua ininterrottamente a produrre nuovi spettacoli e nuovi testi, senza dover rinunciare né alla qualità, né alla “vendibilità” degli spettacoli. Quattro gli autori presenti in cartellone: Gregory Motton, Dennis Kelly, Henry Adam e l’irlandese Bridget O’Connor, con quattro testi tutti egualmente caratterizzati da un fortissimo humor e da una struttura molto classica, riadattata a trattare temi invece molto attuali, dalla violenza, alla droga, al terrorismo, fino alla pedofilia ed all’infanzia violata, tematiche queste magistralmente trattate dal testo di Kelly, Debris, pièce in grado di coniugare un umorismo cinico e disincantato ad una forma dialogica inusuale e di far emergere un alto grado di riflessione sociale.
Altra area rappresentata quella algerina, con due autori, Aziz Chouaki e Mustapha Benfodil, che hanno presentato testi essenzialmente incentrati sul tema della colonizzazione e del razzismo; molti anche gli autori francesi, che hanno tuttavia proposto testi abbastanza tradizionali e di scarso spessore tematico e formale.
Anche l’Italia ha avuto il suo rappresentante, lo scrittore Antonio Tarantino, già ospite dell’edizione 2005 del festival, presente con il suo Vespro della beata vergine, un drammatico monologo di un padre rivolto al corpo (e al ricordo) del figlio transessuale deceduto, testo dal linguaggio ancestrale e duro, fortemente spirituale e impregnato di religiosità.
Ma la vera rivelazione dell’intero festival è stato il giovanissimo scrittore svedese Jonas Hassen Khemiri, autore di Invasion!, un deflagrante testo sul tema dell’integrazione e del terrorismo, dal potenziale comico assolutamente irresistibile e dalla grande finezza formale e linguistica.
Una Mousson eclettica davvero, quella che si è svolta dal 24 al 30 agosto, e che ha visto il susseguirsi di spettacoli, conferenze, atelier, incontri formali ed informali con gli autori, in un turbinio di parole, gesti, impressioni, sentimenti, che ha coinvolto i partecipanti, un flusso ininterrotto di energia e di teatro, che dal mattino proseguiva fino a notte fonda, spegnendosi sulle ultime note dei concerti che puntualmente chiudevano, ogni sera, la programmazione.

Da Tibilisi a Salsomaggiore

Come ogni estate il popolo del teatro vaga in giro per l’italia e l’Europa alla ricerca di nuove emozioni nei vari festival (Santarcangelo, Volterra, Avignone, Edimburgo ecc), un viaggio che accomuna molti operatori del settore e non ma che spesso lascia a molti l’amaro in bocca per la mancanza di valide proposte e per la difficoltà a trovare i biglietti, a volte eccessivamente costosi. Problemi che sicuramente non ha avuto chi è riuscito ad assistere al Festival Internazionale dei Giovani Gruppi provenienti dalla Cina, Slovacchia, Georgia, Ungheria e Romania, una mini, ma proprio mini rassegna che si è svolta in una sola serata a Salsomaggiore Terme, la cittadina termale a pochi km da Parma, conosciuta ai più per ospitare le finali di Miss Italia. I giovanissimi (non più di 18 anni) artisti dell’Est, impegnati in balli folkloristici e canti della loro terra, hanno fatto la loro comparsa nell’ultima domenica d’agosto in una delle vie più frequentate della cittadina salsese, ormai in trepidante e agonizzante attesa per le finalissime delle più belle (! ?) d’Italia. In barba a starlette, divi e divette, letterine e paparazzi che occupano spesso la ribalta delle pagine dei giornali e catalizzano l’attenzione dei mass media, i piccoli performer per una sera hanno fatto parlare di loro. Fa niente se i maggiori tg e quotidiani non hanno dedicato loro nessun servizio, nessuno spazio, nessuna ripresa, perché tanto le sedie predisposte dall’aministrazione comunale emiliana sono andate a ruba lo stesso ben presto e già 40 minuti prima dell’inizio previsto per le 21.00 si registrava il tutto esaurito. Un successo non annunciato testimoniato dai loro modi gentili di ringraziare il pubblico a fine serata con qualcuno che tratteneva a stento la commozione. Durante le piccole e brevi rappresentazioni regnava il silenzio assoluto e la massima concentrazione con i villeggianti che venivano attirati dalla loro travolgente passione. Fa niente se i ritardatari erano costretti a seguirli in piedi perché nel vedere il loro impegno, la loro dedizione, il loro entusiasmo, la loro voglia di emergere l’applauso non poteva non scattare automatico e spontaneo, soprattutto per i piccoli bambini di Tbilisi, tutti vestiti di neri come dei piccoli All Blacks, che si sono esibiti nelle danze folcloristiche della loro terra. Il loro ballo tutto sulle punte ha lasciato tutti piacevolmente sorpresi, dimostrando che oltre ai tanto sbandierati star system e fashion business c’è anche dell’altro. Un substrato culturale che pulsa per emergere. Jacopo Dalla Palma

martedì 11 settembre 2007

Canzoni d'amori feroci al Crt











17, 18, 19 settembre ore 20.45 Crt Teatro dell'Arte

Una invenzione di
Cristian Ceresoli e Antonio Pizzicato

con storie, appunti dal vivo e liriche originali di Cristian Ceresoli
e (in lingua originale) di Dante Alighieri, Caio Valerio Catullo, Adriano Celentano, Lorenzo Cherubini, Eduardo Di Capua, Thomas Stearns Elliot, John Lennon, Giacomo Leopardi, Mogol, Gianni Morandi, William Shakespeare, Consuelo Velazquez e Zucchero
messe in musica, cantate e raccontate da Antonio Pizzicato
con gli arrangiamenti dal vivo di Riccardo Marconi


Canzoni d’Amori Feroci sono degli appunti per un concerto pop. Appunti perché la forma di questo concerto è quella caotica e spontanea degli appunti appena presi, delle storie appena nate, delle canzoni appena inventate e raccolte nell’immenso e furioso tema degli amori. Feroci. Canzoni originali, piccoli racconti, articoli dai giornali, poesie cantate e altre storie improvvisate. Sentiremo una versione rock del duetto al balcone tra Romeo and Juliet di Shakespeare. La storia dei lussuriosi Paolo e Francesca, con il loro bacio galeotto, verrà ascoltata come un brano di musica leggera. Ancora l’erotico e arrabbiato Catullo ci dirà dei “mille basia” che chiede alla sua “tipa” al ritmo conturbante di un latino-americano, fino alla meravigliosa storia di Silvo e la bella Veronica Lario.

venerdì 7 settembre 2007

Le proposte di uno storico grande teatro d'avanguardia

Un cartellone impostato sulla ricerca della più alta qualità performativa. Un percorso intenso, quello del Crt, seducente e coraggioso, dove protagonista è prima di tutto il Teatro. Il teatro nel suo autentico modularsi verso l’urgenza di un senso, verso l’intimità delle scene, verso il rispetto dei grandi maestri che sono stati all’origine di una vocazione, Kantor, Grotowski, Wajda, Schumann e tutte le altre anime che hanno segnato il nostro viaggio. “Noi pensiamo di dover rispondere alla speranza progettuale che è presente nella nostra società, al di là e contro l'effimero”, dice Sisto Dalla Palma, direttore artistico del Crt. Nel solco di queste premesse, ecco non gli eventi, non le grandi kermesse, non il commercio della cultura, ma le proposte di un grande storico teatro di avanguardia.
Il Crt inaugurerà peraltro la stagione con un regalo al suo pubblico: lunedì 1 ottobre, dalle 10 alle 19, sarà possibile acquistare tutte le tipologie di abbonamento con il 30% di sconto. Un’ occasione da non perdere.
Il via, finalmente, con Emma Dante. Alla regista palermitana il Crt dedica quest’anno ben sette spettacoli, tra cui, per la prima volta a Milano, Il festino, e le riprese, in una splendida retrospettiva, dei suoi spettacoli più intensi e innovativi: Cani di Bancata, Carnezzeria, La scimia, m’Palermu, Mishelle di Sant’Oliva, Vita Mia. Nel discorso sulla performance e l’intimità dissacrante dei linguaggi, di cui la Dante è la maggiore testimone, si inseriscono anche il bellissimo e acclamato ‘Nzularchia di Borrelli e Cerciello, La licenza del promettente Claudio Autelli, La casa d’argilla di Lisa Ferlazzo Natoli, I gemelli di Giorgio Marini. Al teatro più vero, provocatorio e coinvolgente s’iscrivono anche il ritorno al Crt della Filarmonica Clown con il Don Chisciotte del grande Bolek Polivka, e lo Zio Vanja di Cechov rivisto dal regista argentino Cesar Brie insieme alla giovane Isadora Angelini. Un incontro emozionante è quello tra Corrado D’Elia e il Crt, per un Otello, in scena nei meravigliosi spazi del Teatro dell’Arte, che si annuncia davvero interessante. Altro classico, altro incontro con il teatro della qualità più elevata: Marco Sgrosso e Elena Bucci affrontano Ibsen e Hedda Gabler. C’è spazio ancora per i graditi ritorni del poliedrico Mimmo Sorrentino con un difficile testo sulla sessualità tra i minorenni, Avemaria per una Gattamorta;, parte di un ampio progetto su giovani e bullismo nelle scuole; di Natalino Balasso, interprete d’eccezione di un tragicomico La tosa e lo storione, e di Gianfelice Facchetti nel grottesco Nel numero dei +. Il Crt riprende poi le sue produzioni, di grande successo lo scorso anno, L’assoluto naturale di Fabrizio Parenti e Carla Chiarelli e il De Rerum Natura de La Fionda Teatro. Come sempre lo spazio del Crt è aperto alle giovani iniziative: ecco Ciccio di Giulia Abbate, il “giallo” Che fine ha fatto Baby Jane di Maria Pia Pagliarecci e la Maria Maddalena di Valentina Capone. Anche la danza, naturalmente, fa parte del progetto di qualità del Crt: Capricci è la nuova creazione del duo Abbondanza-Bertoni, mentre il festival Short Formats, giunto alla sua ottava edizione, promette spettacoli in prima assoluta, con nuovi e affermati coreografi. Il Crt, infine, diventa più che mai punto di riferimento per la formazione alla performance d’avanguardia, organizzando, tra i tanti progetti formativi, il prezioso laboratorio di Emma Dante Un piccolo musical.

mercoledì 5 settembre 2007

Al via la stagione Crt. Con l'urgenza di un senso.

di Sisto Dalla Palma

Il problema del CRT è quello della fedeltà a se stesso e alla sua vocazione in un momento in cui è sempre più difficile individuare dei percorsi coerenti e una capacità di convocazione attorno alla scena, intesa come una ricerca di senso. Siamo perplessi e francamente resistenti di fronte all'esplodere della cultura dell’effimero e del consumo culturale di massa. La politica degli eventi rischia di essere espressione della crisi e frammentazione delle identità, piuttosto che un processo che nasce da una aggregazione reale, in una città capace di fare sistema e cioè di essere comunità di relazioni vive e partecipate.

Noi pensiamo di dover rispondere alla speranza progettuale che è presente nella nostra società, al di là e contro l'effimero.

Fra tante le proposte che convergono in questa direzione, diamo evidenza alle immagini radicali di Emma Dante, che senza nulla concedere alla spettacolarità facile e consolatoria, si fa voce dell'indignazione e della protesta civile sui mali della nostra società.

Più ancora che un lavoro sul linguaggio, vogliamo ripensare le ragioni del nostro impegno, e le stesse istanze di un teatro civile, Anzi: del teatro tout court. Si tratta di un itinerario difficile e talvolta solitario, in aperta controtendenza rispetto alle suggestioni superficiali e volgari che dominano l’intero sistema dei media. Questo sistema rimuove ogni pensiero critico sulle ragioni e sui modi della nostra convivenza, da evidenza ai momenti estroversi ed estemporanei dell’apparire, quando invece nel sottosuolo della nostra società ci sono attese, speranze, valori che aspettano di essere riconosciuti ed interpretati in una prospettiva di cambiamento. Le voci più austere e pensose della cultura, della religione, e persino della politica richiamano l’urgenza di un’altra voce, di un altro discorso. E’ a questo che ci applichiamo senza infingimenti, senza illusioni, ma facendo appello alle certezze e alle speranze di sempre.

Edimburgo città di teatro




Una delle più belle e vivaci capitali europee si trasforma ogni estate in un enorme teatro vivente, giovane, cosmopolita. Viaggio al Festival Internazionale e al Fringes. Foto di viaggio di Roberto Caielli.
Avete girato l'Europa e l'Italia? Avete girato per festival o semplicemente incontrato artisti, spettacoli di strada? Raccontateci la vostra esperienza di viaggio teatrale!


martedì 17 luglio 2007

Un abbraccio da Marco Sgrosso

Marco Sgrosso, della compagnia Le belle bandiere, in stagione al CRT ci manda il suo abbraccio: "Relegato a Trieste per le prove del Sottotenente Gustl di Schinitzler per la
regia del fantastico Francesco Macedonio, vi invio il mio appassionato
augurio di trionfo su quanti vorrebbero 'azzerrare' la "storia"...

in bocca al lupo e un abbraccio
Marco"

mercoledì 11 luglio 2007

Ecco la nuova stagione del CRT


Da Emma Dante, con ben sei spettacoli, a Cesar Brie, da Elena Bucci a Lisa Natoli, da 'Nzularchia di Borrelli all'Otello di d'Elia, dalla Maria Maddalena di Pontedera al ritorno di un testo di Polivka. E poi i giovani, la danza, e il monologo tragicomico di Balasso. Ecco rappresentato il teatro di ricerca in Italia. (Nella foto, Gaetano Bruno ne 'Il festino' di Emma Dante)

Scarica il pdf dal sito di Cenalora

domenica 8 luglio 2007

"Che crepino gli artisti!"

Tratto da un famoso spettacolo di Tadeusz Kantor, "Che crepino gli artisti!" è il titolo della conferenza stampa di domani, attesissima. Annunciati, tra i tanti artisti, Emma Dante, Paolo Rossi, Lisa Natoli, Mimmo Sorrentino, tutti gli attori e i registi programmati nella stagione prossima.

giovedì 5 luglio 2007

Balasso: "Il Crt secondo me".

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, queste righe di Natalino Balasso. "Il Crt, secondo me, non è solo una parte della storia del Teatro a Milano e in Italia, è anche una realtà presente e resistente. Oggi si vuole togliere al Crt un luogo, che è il Teatro dell'Arte e non per darlo ad altre realtà che ne facciano in qualsiasi altro modo un luogo di Teatro. Il Teatro dell'Arte, se le cose andranno come si progetta, non sarà più Teatro.
Che la scarsa creatività domini l'attuale panorama delle scene italiane è sotto gli occhi di tutti. Che i denari caschino a fiumi laddove la calamita dell'invasione politica li attira, non è un segreto. Ma il Teatro, forse più ancora che di denari, ha bisogno di gente che ami il teatro, che lo ami veramente. Ecco perchè è interesse di tutti, non solo dei milanesi, preservare e favorire realtà come il Crt. Non entro nel merito delle questioni locali nè in quello della qualità delle produzioni, non è mio compito e per mia fortuna il destino mi ha tenuto lontano dalle fauci del magna-magna politico-teatrale, esprimo solo una sensazione: menomare una realtà che ha portato in Italia, pionieristicamente, maestri oggi venerati del teatro internazionale, che ha sostenuto e sostiene interessanti realtà contemporanee apprezzate nel mondo come (ma non solo) Emma Dante, che persegue ostinatamente una ricerca teatrale che molti sembrano avere abbandonato, equivale a cedere per l'ennesima volta le armi di fronte a un degrado culturale camuffato da premura economica".

martedì 3 luglio 2007

Lunedi 9 luglio ore 11, Teatro dell'Arte

Conferenza di Sisto Dalla Palma per la presentazione della nuova stagione teatrale.
Saranno presenti Emma Dante e gli artisti ospiti, personalità del mondo politico e dello spettacolo. L'ingresso é aperto a tutti.

Chiusura o rilancio per il CRT?

Il Presidente della Triennale Davide Rampello con la sua lettera programmatica sul Teatro dell’Arte dà per scontate cose che scontate non sono e apre di fatto un contenzioso col CRT che dovrà essere affrontato nelle dovute sedi.
Ciò anche di fronte alla pretesa del Comune di Milano di considerare concluso col CRT un rapporto iniziato 24 anni fa.
Tanto è il tempo trascorso da quando il Sindaco prima e il Consiglio Comunale poi, con voto unanime, invitarono il CRT a rilanciare il Teatro dell’Arte, che versava da anni in condizioni di abbandono e di inerzia. In questo tempo, in assenza della Triennale, il CRT ha messo a disposizione della città tutte le sue risorse umane, artistiche ed economiche. Esso è diventato l’organismo leader nel teatro di innovazione riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e convenzionato con il Comune di Milano.
Ciò che ha fatto il CRT in 34 anni di storia è noto a Milano e nel paese. Meno noto è quello che il CRT ha dovuto subire in termini di danni materiali e morali, per l’inerzia e i ritardi della Amministrazione di Milano che in un quarto di secolo, non è riuscita a concludere i lavori di ristrutturazione del teatro dell’Arte, a tutt’oggi privo della licenza definitiva di agibilità e di una convenzione che regoli correttamente i rapporti col CRT. Questa ristrutturazione senza fine oggi richiede, come preannunciato dal Presidente Rampello, ulteriori interventi e sprechi di risorse per la collettività. La pretesa del Comune di Milano, secondo cui il CRT dovrebbe chiudere la sua storia in favore della Triennale, un ente privato che non ha tra i suoi compiti statutari l’attività di spettacolo, non può che essere respinta fermamente, per il modo con cui si vuol derogare alla legge sugli sfratti che tutela il teatro, legge varata nel febbraio 2007 su impulso di De Corato e di La Russa.
In particolare il CRT non può accettare che sia umiliato un impegno culturale rigoroso e coerente sviluppato nel corso di una generazione e a fronte del quale sono venute risorse consistenti al teatro e alla città di Milano attraverso i contributi dello Stato. Tutto questo è a rischio per l’affermarsi di un disegno in cui i poteri forti intrecciano logiche di profitto e confuse prospettive culturali per mettere le mani sullo spettacolo della città, travolgendo un equilibrio culturale fondato sul pluralismo e sulla libertà.
Il CRT pertanto ha dato mandato ai suoi legali perché siano tutelati i suoi diritti nelle sedi più opportune, onde evitare che con la sua chiusura sia liquidata una storia prestigiosa per la vita culturale di Milano.
Dopo aver inoltrato un ricorso straordinario al capo dello Stato, Il CRT fa appello al Ministro Rutelli, al proprio pubblico e a quanti hanno a cuore le sorti della libertà e della cultura a Milano perché sia garantita la continuità di lavoro per gli artisti, organizzatori e tecnici che operano nel teatro in mezzo a tante difficoltà.
Lunedì 9 luglio alle ore 11.00 presso il Teatro dell’Arte a Milano il Presidente Sisto Dalla Palma terrà la conferenza stampa di presentazione della nuova stagione. Sarà anche l’occasione per chiarire cosa sta succedendo nello spettacolo a Milano.