mercoledì 21 novembre 2007

I luoghi hanno proprietà magiche

di Laura Calebasso

Il filosofo francese Denis Guénoun, ospitato l’anno scorso al CRT, si è spesso interessato al teatro in quanto luogo di incontro protopolitico, intendendo che l’unica genuina fonte del potere coincida con il corpo sociale, e che ogni incontro pubblico di esseri umani con altri esseri umani, contenga un forte potenziale di autodeterminazione.
Questo assunto porta almeno due tipi di conseguenze: in primis, i momenti improduttivi dedicati all’aggregazione risultano fondanti della dignità umana. In secondo luogo la possibilità di rispondere del destino comune dipende dalla qualità dell’incontro. Prescindendo qui dal fattore delle circostanze storiche, che richiederebbero un’analisi a sé stante, questa qualità dell’incontro non manca di essere esaminata seriamente da Guénoun il quale, ad esempio in Exibition des mots valuta l’impatto con cui l’architettura, la collocazione urbanistica ed altri “dettagli”- incidono sul modo di stare insieme in un luogo.
Abbiamo dunque stabilito che lo scambio passa attraverso diversi strati di materia: corpo, corpo di corpi, e la struttura che gli accoglie. Arrivati a questo punto immaginiamo di togliere la caratterizzazione fisica degli ambienti e degli attori sociali. Ci troviamo in uno spazio potenzialmente illimitato, un universo attraverso il quale proiettare il mondo reale insieme alle nostre fantasie. Abbiamo buttato via le nostre ingombranti enciclopedie perché con un click tutto il sapere prodotto dall’umanità è disponibile in rete; possiamo anche fare la spesa, incontrare i nostri amici, possiamo innamorarci, partecipare a forum su quasi ogni argomento. Non da ultimo possiamo dare atto a vere e proprie azioni politiche: su questo punto delicato torniamo a confrontarci con la questione protopolitica di Guénoun.
Ciò che è politico si colloca su di un livello di intellettualizzazione posteriore rispetto alla semplice aggregazione, per questo il suo lancio in uno spazio fatto di codici binari ed impulsi elettrici, simili a quelli del cervello, si compie con successo; è invece difficile pensare di esaurire la “materia prima” della politica, dell’arte, e di tutto quanto fonda il tessuto di una civiltà- nel quadro di una struttura esclusivamente neurologica.
Entrando in uno spazio senza luogo, è consentito depositare come un cappotto, la propria identità in un guardaroba immaginario, dove è possibile indossare con disinvoltura (nella discrezione che solo una perfetta solitudine garantisce) qualità inconfessabili o maschere funzionali a raggiungere determinati obiettivi. Pensiamo ad esempio agli infiltrati, che frequentano una o più chat room allo scopo raggiungere finalità oscure agli altri membri, ad esempio per acquisire informazioni. Da un lato vediamo chi approfitta dell’anonimato per lasciarsi andare, magari facendo emergere versanti insospettabili del proprio stare al mondo; dall’altro chi svolge il mestiere della spia, è infinitamente rilassato e al sicuro dal proprio corpo: sappiamo quanto banale sia mentire e quanto, invece, sia complesso essere credibili. Il corpo è qui, la stessa espressione l’abbiamo portata a scuola e al supermercato, ovunque sempre la stessa faccia. Il corpo che suda, rabbrividisce, un sorriso che non si contiene ed il gioco è rotto. Il corpo garantisce della sincerità di ogni singola performance di sé stessi.
La non-architettura della città sotterranea consente ciò che la verità ostacola, incontrarsi senza che nessuno sia presente permette di studiare il colore del negativo, per dipingere un ritratto profondamente espressivo di ciò che siamo e che non siamo. La realtà incrocia la fantasia, la creatività sociale amplia le sue possibilità fuori dai limiti imposti dalla materia dei corpi e del cemento e si tuffa nel grande sogno collettivo. Potremo risparmiare agli dei la fatica di incarnarsi in un assemblea riunita, e più semplicemente al teatro di lasciare il passo ad una grande rappresentazione spontanea, alla quale ognuno partecipa senza esporsi. Resta da chiederci se si stia parlando finalmente dell’Eden o del paese dei balocchi…

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