di Serena Mola
Short Formats. Sei serate, dodici spettacoli, quattrocento minuti scarsi. Perchè?
Ogni spettacolo, si desume con un facile calcolo, rivela la propria breve durata: una mezz’ora circa. Gli interventi artistici, talora presentati nella loro concezione originaria, altre volte appositamente “tagliati” si sono caratterizzati quindi per una scarsa dilatazione temporale, che sovente ha fatto da contraltare ad una criptica densità concettuale.
La brevità è d’altronde programmaticamente annunciata dal duplice titolo della rassegna, che ad una esplicita e preliminare indicazione di “genere”, Short format, aggiunge un (sovra) titolo emblematico: Intermittenze danza.
Oltre che una sempre più acclimatata tendenza della “creatività performativa contemporanea” l’accorciamento dei tempi è forse uno dei tratti più tipici della modernità in senso lato, in particolare nell’accezione metropolitana del termine.
Ed è interessante, alla luce di queste premesse, avvicinare i due ambiti appena accennati, e provare a leggere il formato breve (in questo caso di spettacoli di danza) come erede di alcune esperienze letterarie fondamentali del nostro tempo, cercando di compiere un viaggio attraverso quattro momenti, quattro tappe del pensiero occidentale che, inconsapevolmente ci hanno segnato e che forse, rilette in quest’ottica ci sveleranno qualcosa delle dodici brevi messe in scena.
1857, Parigi. Uscita delle Fleurs du mal. La modernità irrompe nella letteratura, anzi l’impatto è ancora più forte, nella poesia, nel sonetto che implode sotto i colpi di contenuti sensuali e scandalosi, ma profondamente umani.
1955, Germania. Walter Benjamin, nei suoi scritti dedicati a Baudelaire, cerca di dare conto di un fondamentale stravolgimento antropologico, di cui il poeta maledetto per eccellenza è l’indiscusso iniziatore. Benjamin chiama Choc l’esperienza istantanea, che, proprio come (e non a caso) un’intermittenza, guida l’uomo nella metropoli: sguardi fuggitivi, ritmi frenetici, urti indelicati e improvvisi.
1909-1922, Francia. Marcel Proust rinviene tracce del Tempo perduto grazie alle Intermittenze del cuore, lampi in cui sensazioni dettagli, immagini di un passato che si credeva cancellato riemergono fulmineamente con forza straordinaria.
1950-1979, Italia/Francia. Italo Calvino pubblica numerosi scritti, romanzeschi e saggistici: dalle tre allegorie dell’uomo moderno, unite nella Trilogia degli antenati, a Marcolvaldo, dalle Città invisibili fino alle Lezioni americane. In questi testi, in modo diverso il principale tema è proprio quello della modernità, e del suo impatto sull’uomo, che ne esce dimidiato, svuotato, alienato…
Il fil rouge che collega tutte queste esperienze è proprio la brusca rottura esperienziale a cui dà luogo l’avvento della modernità industriale, urbana, o, se si vuole, metropolitana. La città diviene quindi un vero palco scenico, su cui l’uomo esibisce inconsapevolmente se stesso nella sua quotidianità stravolta.
Ciò che è rilevante sottolineare ai fini del nostro discorso è che questo sconvolgimento antropologico colpisce soprattutto una dimensione, quella temporale. I tempi della città sono rapidi, incalzanti, perpetuamente ritardatari e affannati, ansiosi e concitati. Orari, impegni e scadenze rischiano di robotizzare le giornate dell’uomo metropolitano, di appiattire la dimensione della quotidianità in una routine uguale a se stessa, scandita dai ritmi della catena di montaggio.
Calvino non si lascia impressionare da questo rischio, anzi, trova l’antidoto letterario per combatterlo: la Brevità. I tempi della letteratura che, ricordiamo è prerogativa irrinunciabile dell’animo umano, si fanno così conformi alla variazione paradigmatica allora in corso, e ora assestata. Calvino cioè pubblica testi brevi per andare incontro ad un lettore che, curioso e interessato, ha però meno tempo dei suoi “colleghi ottocenteschi”.
Estendendo il discorso letterario all’ambito teatrale prende forma una delle strade che ci consentono di capire il perché di Short formats: il lavoro scenico, accorciandosi, facendosi Intermittente, si rende compatibile con nuovi ritmi di vita.
Ecco allora il perché di sei serate, dodici spettacoli, quattrocento minuti scarsi.
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