mercoledì 21 novembre 2007

Il pubblico questo sconosciuto

di Elisa Ferrari

Nel corso della storia il pubblico è stato un essere metamorfico. In passato lo caratterizzava una certa consapevolezza sia riguardo al fatto di possedere un ruolo, sia a come questo ruolo doveva essere esercitato. Nell’antica Grecia l’atteggiamento era di carattere politico. Nel medioevo sfociava in un sentire religioso. Dall’800 questa partecipazione ‘attiva’ subisce una battuta d’arresto; il teatro si trasforma in puro intrattenimento, del tutto autoreferenziale. Il ruolo del pubblico non è bene identificato, forse non c’è.
Arriva il ‘900.
Nella definizione di ‘teatro della crudeltà’ Artaud rifiuta l’idea di arte come imitazione della realtà, sostenendo che l’arte sia la vita stessa.
Vengono così scardinati i ruoli e gli obblighi della teatralità classica.
Lo spettatore non si identifica più come fruitore passivo; lo spettacolo non è più oggetto di quello stesso sguardo passivo. Lo spettacolo è un vortice che inghiotte lo spettatore. Subentra il concetto di festa: teatranti e collettività divengono comunità in una sorta di rito di purificazione, o forse di contagio.
Nel rito del teatro ogni individuo partecipa empaticamente alla festa, senza distinzione di ruoli.
Se si parte dal presupposto che il teatro esplora la condizione umana, è uno squarcio, una finestra sul mondo contemporaneo che propone una visione globale e critica sulle condizioni della società, che visione ha del mondo lo spettatore d’oggi?
Qual è oggi il ruolo che appartiene al pubblico?
Il pubblico ha un ruolo?
Dopo Artaud, dopo Piscator, dopo le avanguardie, si ha l’impressione di aver subito una regressione di un paio di secoli.
Dentro la scatola teatrale lo spettatore è ‘asettico’, automizzato. Guarda (o forse vede). Applaude. Partecipa? E’ emotivamente coinvolto?
Forse si è persa la libertà del giudizio. Il pubblico subisce. Ci si lascia ‘torturare’ da spettacoli che offendono la dignità dell’osservatore. Non si prendono posizioni. Si rimane nell’anonimato dell’applauso ad ogni costo sino all’accensione delle luci. Perché?
Forse per paura di non sentirsi più parte di un gruppo, che in ogni modo ha fatto una scelta importante e vale a dire quella di andare a teatro?
Il pubblico si sta disabituando a ciò che accade.
Lo spettacolo a volte si riduce ad un semplice esporsi ad uno sguardo non pronto ad accogliere.
Se gli artisti non hanno nulla da dire, se la messinscena diventa mera esibizione del sé, se il pubblico partecipa solo fisicamente all’evento, se il corpo dello spettatore abbandonato sulla sedia diventa bersaglio che non reagisce ai colpi sparati a salve poiché non esistono colpi reali data l’assenza di messaggio, dopo tutti i ‘se’ dov’è il teatro? Dov’è lo scambio? Dov’è la comunicazione?
Se i partecipanti rifiutano il proprio ruolo, dov’è la festa?
Probabilmente il senso di comunità e, di conseguenza, il senso del teatro sono palpabili in luoghi non prettamente deputati al teatro stesso. Come diceva Artaud "l’arte è vita" e forse il teatro ha scelto di vivere per le strade di una città anonima ma viva.

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