Etimologia della provocazione, all'ombra di Testori e Artaud
di Serena Mola
Cosa si/ci provoca oggi (nel significato etimologico del verbo, pro vocare, chiamare fuori)?
Il ‘68 e Woodstock sono passati e un certo sdoganamento “di costume” già ce l’hanno insegnato; la donna s’è, più o meno, emancipata; la società s’è, più o meno modernizzata; dall’estetica crociana ci siamo liberati, e però siamo anocra lì, legati al dilemma platonico del corpo e della sua carnalità.
Siamo in continuazione “aizzati” da questo punto di vista, teatralmente e non... ma siamo sicuri che ci bastino ancora corpi nudi, parolacce o altri gesti più o meno insoliti??
Purtroppo, o per fortuna, sono due gli elementi grazie ai quali vive la provocazione oggi, quelli da cui scaturisce l’osceno. Due cose che però diventano una sola: il corpo, che seduce, strega e fa paura, e la parola, che comunica, pervade il mondo, lo colonizza.
Se il corpo parla, la parola si fa corpo.
Senza addentrarsi nella provocazione del corpo che parla, che rischierebbe di farci cadere nello stufo e annoiato già detto morale/moralistico, consideriamo il secondo aspetto.
Il peggior trattamento della parola-corpo è, oggi, quello della parola parlata della tv e della parola scritta dei cellualri: nel primo caso è un corpo vocale e verbale che si sacrifica in costruzioni improbabili, in accostamenti raccapriccianti e in versi, rumori, quasi. Nel secondo caso, invece, la parola è violentata a colpi di k e cadute vocaliche; solo così, infeltrendosi in sigle che hanno dell’ostrogoto entra nei 120 caratteri di un sms, tutta appuntita e spigolosa.
Appuntita e spigolosa è però anche la parola autenticamente crudele (con la C maiuscola) e provocante, quella del Van Gogh di Artaud che ingoia il colore prima di “vomitarlo” sulla tela, che Artaud stesso concepisce e percepisce attraverso lampi, scossoni (quasi presagendo il suo martirio all’alettro-shock) cerebrali, quella che Testori costruisce e uccide come il corpo di Adriana Innocenti sulla scena.
Artaud e Testori.
1924 e 1969.
Ombilic des limbes e Erodiade.
Le vicinanze tra i duea questo proposito sono eclatanti.La parola corpo è per entrambi fatta di ghiaccio: per Artaud essa è una floraison glacée, con tutto ciò che questa sublime immagine comporta, per Testori invece essa nasce dal frantumarsi della parete di ghiaccio tra palco e platea, tra scrittore e attore prima, e tra attore e pubblico poi. Entrambi credono in questa forza dirompente che, già dentro di noi, emerge con urgenza incarnandosi nella forma del monologo, sia esso lirico o teatrale.
È questa la crudeltà, quella vera, questa la provocazione che stringe un nodo alla gola e ti fa lacrimare gli occhi, questo l’osceno che gli occhi te li fa chiudere. Speriamo allora che questo ghiaccio non si sciolga.
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